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Mafia la lotta di Vittoria Giunti: colloquio con Gaetano Alessi

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Incontro la barba scura di Gaetano che è già notte. È appena rientrato da Torino dove ha presentato il suo libro “L’eredità di Vittoria Giunti” e l’indomani deve partire per Firenze dove lo attendono. Accetta comunque di fare l’intervista.

Gaetano ha vinto nel 2011 il premio nazionale di Giornalismo Giuseppe Fava. È Curatore 2011/12/13 dei Dossier sulle mafie in Emilia Romagna per l’Università di Bologna. Rispondendo alle mie domande è un fiume in piena di dati, avvenimenti, personaggi. La sua storia è anche la ‘nostra’: il racconto di un paese imbevuto di mafia e che, si direbbe, non ha ancora deciso da che parte stare.

GAetano AlessiSei venuto in Val Susa (e a Torino) per la presentazione di questo tuo libro sulla partigiana Vittoria Giunti. Come nasce questo binomio nella tua attività di giornalista tra la lotta partigiana e la mafia?

Nascono dal posto in cui sono nato. Un piccolo comune della provincia di Agrigento che si chiama Raffadali. Comune sfuggito al controllo delle mafie, come ammettono gli stessi pentiti di mafia (sei comuni della provincia su quarantatré). È  curioso pensare che era considerato anormale che fossero i comuni ad essere sfuggiti alle mafie e non il contrario. A Raffadali era nato uno dei fondatori del PCI, Cesare Sessa, e dopo la guerra di Resistenza sono arrivati in paese cinque partigiani. Parliamo di figure importanti, tra queste Vittoria Giunti che era toscana. Il mio comune ha conosciuto le lotte contadine che furono poi lotte per la Resistenza con una forte partecipazione femminile. Cresco quindi in un ambiente dove non sono solo a contatto con i ‘miei’ partigiani di Salvatore Di Benedetto (uno dei personaggi maggiori delle formazioni della Resistenza) ma a Raffadali c’era un viavai di personaggi come Guttuso, Vittorini, Ingrao. Strano per un comune che viene considerato appartenente a una terra di mafia; difatti il comune era chiamato ‘la mosca bianca’.

Albe Steiner, molto legato al Piemonte come commissario politico della Valdossola, viene a morire a Raffadali. Sua moglie Lisa era la miglior amica di Vittoria Giunti. C’è quindi un legame profondo con la storia partigiana e Vittoria è l’asse di tutto. Quel piccolo comune era così particolare, non ne farei una questione di colore, lì diventarono tutti comunisti perché fu il partito comunista quello che guidò le lotte contadine. Quindi mio nonno che morì nel 2000 con la falce e martello sulla bara non conosceva nè Max nè Engels ma a quel colore attribuiva quel suo essere passato dall’essere stato venduto come ‘schiavo’ – a sei anni- come contadino a uomo libero.

Alla fine degli anni ’90 succede una cosa particolare: il primo governo di centro sinistra dell’isola. Due personaggi del centrodestra transitano nel centrosinistra e danno vita a quel governo il cui Presidente era Angelo Capodicasa, attualmente ancora senatore del PD. Gli elementi in questione erano Vincenzo Logiudice e Salvatore Cuffaro che oggi sommano condanne per mafia a una ventina di anni. Accade una cosa che nessuno di noi si aspettava: tutta la classe dirigente costruita a pane e PCI transita tutta, nell’arco di due anni, nelle fila ‘cufferiane’. Ci troviamo a resistere un piccolo gruppo di ragazzini e Vittoria Giunti. Qui nasce questo ‘binomio’ fra la ‘ragazzina’ di 85 anni partigiana e un gruppo di ragazzi che si ritrovano come unico punto di riferimento la combattente mentre i padri e i fratelli più grandi non si preoccupavano di fare opposizione.

Poi nacque la storia in quel comune del contrasto tra le mafie e Vittoria e tutti i partigiani che avevano combattuto al nord ed erano venuti al sud. C’era chi tornava a casa (come Di Benedetto) ma c’era chi rimase a combattere la mafia e fu l’unica vittoria della lotta contadina contro le mafie in Sicilia. Quei quattro anni dal 1951 al 1955 dove quattrocentomila contadini in marcia, un numero impressionante per l’epoca, diedero un colpo pesantissimo alle mafie rurali smantellandole. Quello fu l’unico momento storico in cui le mafie furono assolutamente soppresse.

La differenza fu poi storica:  i contadini non seppero poi organizzarsi fondando le cooperative come successe al nord e diedero vita al più grande esodo della emigrazione siciliana. Dal ’55 in poi le mafie si spostarono nelle città e si riorganizzarono formando le mafie che conosciamo, la mafia industriale. All’epoca “l’esercito degli straccioni”, – come lo chiamavano i mafiosi, – smantellò un controllo di cento anni di mafia agraria.

La mafia quindi non sarebbe così invincibile come siamo portati a credere?

Quella è storia passata, ci fu proprio un cambiamento di mentalità perché furono estirpati i ‘feudi’ e parlare di feudi negli anni ’50 come se si fosse nell’ottocento può sembrare strano ma in Sicilia dopo il ’45 c’erano ancora i feudi con i gabellotti della mafia che difendevano i feudi e i carabinieri che difendevano i gabellotti che difendevano i feudi… Quindi lo schiaffo che presero fu furibondo. Il punto debole fu che non seppero organizzarsi.

Tu hai citato Totò Cuffaro, personaggio quanto mai attuale, ma oggi in Sicilia c’è Crocetta. Come la giudichi la situazione della Sicilia oggi?

Cuffaro fu una parentesi che però ebbe come complice tutto l’arco istituzionale perché che Cuffaro fosse legato ai clan di mafia non era una gran novità: venne trovato negli anni ’90 a chiedere voti a Angelo Siino che era il ‘ministro’ dei lavori pubblici dei Corleonesi e nel ’93 andava in televisione da Costanzo a insultare Giovanni Falcone. Non è che per noi Raffadalesi fosse una novità. Tant’è che lui era stato cacciato via da Raffadali negli anni ’80 e non riusciva nemmeno a farsi eleggere nel consiglio comunale. Lui però rientra perché quando Angelo Capodicasa (DS) e i DS decidono di fare il governo presero  chiunque pur di formare la legislatura e imbarcarono anche Cuffaro sapendo benissimo quale fosse la sua genia. In quel governo c’era anche Rifondazione Comunista; lì si aprono le porte per Totò. Per la prima volta in Sicilia viene inserito un uomo indicato dalle mafie. L’UDC era il quarto partito del centrodestra, avrebbe potuto essere ben qualcun altro quello scelto. Fu una indicazione precisa di Provenzano. Prima emanazione diretta della mafie alla presidenza della Regione siciliana. Prima erano politici che facevano accordi ma mai un’emanazione diretta. Situazione che per otto anni è stata accettata da tutti. Difatti le uniche opposizioni a quel clan di potere erano le associazioni locali. Le uniche che si opposero al Piano Regionale dei Rifiuti: occupammo per 80 giorni un comune (e fummo poi tutti condannati) ma evitammo che la Sicilia fosse violentata da cinque mega inceneritori e ventidue maxi discariche. Venne anche Umberto Veronesi sponsor di quella operazione a dire che “gli inceneritori inquinavano come un motorino a due tempi”, che se lo dicesse mio nipote che ha sei anni la maestra lo rimproverebbe. L’operazione era gestita da Impregilo, da Falck, nomi ben noti anche qui in Val di Susa.

Abbiamo quindi le mafie che giungono a controllare direttamente tutti gli affari giù in Sicilia. Ma noi (associazioni) gli facciamo saltare quel piano. Lo dice anche Lombardo, il Presidente successivo alla Regione Sicilia anch’egli però poi dimesso per condanna di mafia. Cuffaro è stato abbandonato perché non riuscì a mantenere le promesse fatte con il piano dei rifiuti: ventimila miliardi di euro all’anno per trent’anni. Un piano fatto saltare da un’altro “esercito di straccioni”: un gruppo di ragazzi e pochi comuni che gli si opposero.

Dopo Lombardo arriva Crocetta. Di lui ho una sicurezza (e spero di non essere smentito): non si dimetterà mai per un’accusa di mafia. Però Crocetta ha il difetto che hanno molti in questo paese, quello di essere ‘un uomo solo al comando’. Viene eletto con meno voti con i quali la Rita Borsellino aveva perso cinque anni prima. Addirittura meno voti di quelli presi dalla Angela Finocchiaro che era stata ‘stirata’ da Lombardo qualche anno prima

Vince senza una maggioranza, senza un partito di riferimento; era passato dai Comunisti Italiani al PD per essere eletto all’Europarlamento; inviso al suo stesso partito, circondato da segretari personali che non conoscono la Sicilia. Un uomo solo al comando: con i pregi e i difetti del caso.

Come giudichi la mancata candidatura di Rita Borsellino come Presidente della Regione siciliana?

Quella fu un’occasione davvero persa. Ne fui uno dei primi promotori; il primo comitato per Rita Borsellino presidente nasce nella Radeffali di Cuffaro. Un grande significato fare in quel momento quella scelta così aperta. Rita nasce nelle associazioni e viene sposata tardissimo dalla politica. La sua elezione avrebbe significato lo smantellamento di quella politica burocratica siciliana che, al di là degli stessi rappresentanti politici, è il cancro vero. Se pensi che il presidente della Asl 6 di Palermo gestisce i soldi che gestisce il Presidente Regionale del Molise e viene nominato dalla politica e molto spesso di sanità non ne capisce nulla. Il problema quindi non è tanto il Presidente quanto la burocrazia che lo fa girare. E non sai da chi è composta. Spesso contestiamo i costi della politica ma troppo poco quelli della burocrazia.

In questo momento uno degli uomini che prende la pensione più alta in Italia si chiama Felice Crosta e prende decine di migliaia di euro al mese e di professione fa il ragioniere (con tutto il rispetto dovuto ai ragionieri). Ha avuto l’unico merito di prestare la ‘faccia’ al piano dei rifiuti di Cuffaro.

Da un po’ di anni c’è un agguerrita schiera di storici che vuole rivisitare il mito del Piemonte salvatore nei confronti del sud ‘liberato’ dai Borboni in epoca risorgimentale. Tu cosa ne pensi da siciliano che conosce bene la sua terra?

La prima commissione antimafia in Sicilia arriva nel 1870. La prima legge che contrasta le mafie a livello di organizzazione mafiosa è del 1986! Il maxi processo. Ci sono 110 anni di differenza. La cosa curiosa è un provvedimento che scrissero due giovani Piemontesi (Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti n.d.r) che vennero mandati in Sicilia dal nuovo Regno d’Italia perché c’era il problema delle mafie. Loro si immaginavano di trovare coppole storte e quant’altro fosse simile a quella mafia ‘rurale’ che tutt’ora viene raccontata. Invece si ritrovano l’alta borghesia palermitana, medici, notai, che gli fanno notare che se i politici del nord vogliono fare ‘affari’ in Sicilia con “loro devono parlare”. Poi chiedono una cortesia: di raccontare la Sicilia così come loro vogliono e questi due ‘ragazzini’ raccontano seguendo questa richiesta e giungono in un passaggio della loro relazione a scrivere che “la mafia in Sicilia non può esistere perché il Siciliano di per sè, essendo portato a delinquere, non ha neanche l’intelligenza di mettersi assieme per fare l’associazione mafiosa”.

Questo concetto che oggi fa ‘ridere’, terrà banco nei tribunali di tutta Italia, nel Regno e nella Repubblica sino al 1986!

Una sentenza di sei anni fa a Sarzana (in Liguria) dice che la ‘ndrangheta è si una associazione mafiosa, però è ‘puro folklore’. Quindi non può essere condannata. Il concetto per cui noi Siciliani eravamo talmente bestie per non poter stare assieme a delinquere è stato un favore fatto a livello ‘culturale’ dal nuovo governo del Regno d’Italia alle mafie che poi hanno costruito tutta la loro ricchezza basandosi su una malcelata ricerca di verità. Abbiamo sempre attaccato le mafie dal punto di vista militare ma l’alta economia mafiosa non l’ha mai attaccata nessuno.

Negli ultimi 20 anni abbiamo arrestato in giro per l’Italia, dall’Emilia, alla Lombardia, alla Puglia, alla Calabria il più alto numero di mafiosi e mai come negli ultimi 20 anni le mafie si sono arricchite! In contemporanea. Non è mai stata fatta una legge di contrasto all’economia mafiosa.

Quindi abbiamo da una parte uno Stato che ci ha sempre convissuto bene, dall’altra le mafie che preferiscono farsi raccontare come qualcosa di folkloristico. Cuffaro era proprio quello: la rappresentazione culturale che le mafie volevano che noi avessimo. La coppola storta, il cannolo offerto, il bacio … alla fine sembra poco pericoloso.

E’ quello che Dell’Utri ci ha raccontato con la televisione di Berlusconi. Abbiamo visto delle fiction in cui ti appariva quasi simpatico il mafioso che uccide nell’acido i bambini. Era lo stesso tipo di racconto. E ha funzionato benissimo; quando arrivai in Emilia-Romagna sette anni fa e parlai di mafia mi guardarono come stessi parlando di alieni. Nella regione c’erano da almeno quarant’anni sentenze passate in giudicato su aziende che avevano costruito Pza Maggiore a Bologna, lo scalo dell’aereoporto, tutte le case popolari a Forlì, Modena, Reggio Emilia, aziende cui avevano ritirato il certificato antimafia in Calabria e che gestivano le discariche a Poiatica (Reggio Emilia). Però per loro la mafia erano quattro Siciliani straccioni o quattro Calabresi che parlano un dialetto incomprensibile che però se ne stavano a casa loro. Il massimo della lotta alla mafia era comprare un paio di bottiglie di ‘Libera’ (Associazione contro le mafie n.d.r.). Quindi un’idea culturale diffusa da loro (i mafiosi) che ha funzionato.

Ora la mafia è in ‘tilt’, perché? Me lo ha raccontato un capo che ho intervistato tempo fa: perchè hanno difficoltà a riciclare ‘solo’ i soldi della cocaina. Hanno talmente tanti soldi che, solo in Italia, hanno problemi a riciclare anche solo il denaro che ‘guadagnano’ con la cocaina.

Quindi mi stai dicendo che hanno un problema nel riciclare il denaro sporco per la parte ‘solo’ della cocaina?

Si, poi c’è il resto: traffico droga, armi, le grandi opere… vanno in difficoltà da sette anni a questa parte perché in un momento di crisi come questo gli unici soldi che si vedono sono i loro.

Voi qui in Valle avete avuto il caso di Bardonecchia con Rocco Lo Presti che per una mentalità ‘vecchia’ si faceva anche vedere per stabilire il potere. In gran parte d’Italia i ‘sorvegliati speciali’ si sono nascosti sino a qualche anno fa. Sorvegliati speciali vuol dire che erano mafiosi condannati.

Aprivano qualche azienda a loro nome e hanno lavorato indisturbati nel nord d’Italia per quaranta anni. Lavorando con grandi aziende. Per l’Emilia, avendo curato dei lavori per l’università per i dossier sulle mafia ne so qualcosa, hanno lavorato con la cooperativa costruttori che è uno dei cardini della cooperazione rossa di Bologna, hanno lavorato con l’aeroporto, con i comuni, pur essendo mafiosi dichiarati. Non è la ‘mafia dei colletti bianchi’, che è un’altra caricatura deviante; questi erano già mafiosi prima e già condannati.

Quando giri per l’Italia ti accorgi che le stesse aziende che dovevano costruire gli inceneritori in Sicilia, progetto appoggiato dalle mafie e dalla politica, sono le stesse che ritrovi in Val di Susa, al Molin a Venezia, alla Maddalena in Sardegna. Poi quando parli di queste cose ti accorgi che le stesse aziende sono sponsor delle Università, delle feste dell’Unità, delle cooperative e quindi tu vieni tagliato fuori da ogni circuito.

Le associazioni come ‘Libera’ e le ‘Agende Rosse’ hanno un’efficacia sul territorio nella lotta contro la mafia?

Uno dei miei maestri era Roberto Morrione, fondatore di Rainews24, il quale, malato di un tumore gravissimo, continuò a lavorare fondando ‘Libera Informazione’ e si mise in viaggio alla ricerca di giornalisti di ‘frontiera’. Lui mi diceva che non bisogna essere ‘bravi’ bisogna essere ‘utili’. Se tu mi chiedi quanto siamo ‘utili’ non te lo so dire. Libera è diversa da quella che ho contribuito a fondare una decina di anni or sono (nel 1996); è diventata istituzionale, fa percorsi istituzionali. La cosa che mi sento di rimproverargli, non tanto nel sud del paese dove con i campi di lavoro fa un’azione straordinaria, ma in Piemonte, Emilia, Lombardia, mi sembra faccia finta che la mafia ancora non ci sia. Si attiva per raccolta fondi per alimentare le cooperative del sud. Torrniamo allo stesso concetto culturale dell’inizio: la mafia come un fenomeno relegato al sud. Le Agende Rosse sono legate alla personalità di Salvatore Borsellino. E lui è una garanzia.

Penso che chi fa antimafia non dovrebbe prendere fondi dalle amministrazioni pubbliche. Rischi che in qualsiasi momento cambi il governo delle istituzioni ed entrino persone che sono implicate e che dandoti del denaro ti chiederanno di non fare il loro nome da qualche parte.

Sei venuto in Val Susa e conosci la questione No Tav e la relazione del progetto AV con le mafie. Come hai vissuto questo aspetto a contatto con il movimento e i valsusini?

A suo tempo ho giocato una partita che non ha nulla a vedere con quella dei No Tav e che riguarda il piano dei rifiuti della regione siciliana; durata quattro anni fu, all’inizio, devastante perchè fummo accusati di ogni oscenità. A noi ci dissero che eravamo contro il progresso, che bloccavamo lo sviluppo; subimmo anche la pressione pesante delle forze dell’ordine mandate in casa o a parlare con i genitori. Tutti quei meccanismi che non avevano nulla di diverso dagli atteggiamenti utilizzati dalla criminalità nei confronti delle persone.

Avendo dovuto mettere in campo, in quel momento, delle azioni illegali per ratificare una ‘legalità morale’ mi sono approcciato al tema della Val di Susa con molta discrezione. Vorrei evitare di farne una questione di ‘eroi’ oppure di persone che vogliono rimanere nell’800. Perché poi, della valle, il racconto che viene fatto è questo. Si racconta come se ci fosse una banda di pazzi, terroristi – e per quelli che ho conosciuto mi viene da ridere a pensarli come tali, – e dall’altra si raccontano le stesse cose che si raccontavano su di noi. La Tav è una grande opera, con un grande budget e dove c’è budget le mafie ci hanno sempre messo il muso. Anche qui, come altrove, ci sono le aziende che partecipano alle grandi opere e che non si fanno nessun tipo di problema nell’appoggiarsi alle mafie.

Nel mio prossimo libro in uscita, dedicato al racconto delle periferie, c’è un capitolo dedicato alla Valle dove si mostra che le situazioni sono uguali da tutte le parti.

Grandi imprese economiche, grandi imprese economiche mafiose , con la particolarità qui di questa lunga resistenza civile della popolazione che è assolutamente molto bella.

Mentre quelle che ho vissuto direttamente, come nella terra dei fuochi, avevano alcuni protagonisti e su costoro verteva tutta la partita, qui ho avuto modo di capire che ogni cittadino della valle è protagonista della partita tanto quanto lo è l’uomo che va in televisone a rappresentare tutti.

Questo senso di comunità è straordinario; è quel senso che, in tutta la mia vita di militante antimafia, vorrei ci fosse in questo paese.

D.A. 23.09.14

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