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Chi c’è dietro l’Isis il nuovo terrorismo. Intervista a Loretta Napoleoni

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La televisione ci bombarda nuovamente con un campagna a favore della guerra; questa volta contro l’Isis (il nuovo Stato Islamico voluto da Al Baghdadi proclamatosi califfo) e tutto sembra racchiuso in una cornice di fanatismo religioso. I social media traboccano di immagini di fucilazioni sommarie, teste mozzate e ogni sorta di atrocità. Si inneggia al razzismo e si proclama la pericolosità dei Musulmani senza alcune distinzione. Ma le cose stanno davvero così?

Abbiamo raggiunto oltreoceano l’economista Loretta Napoleoni [1] una delle maggiori esperte a livello mondiale di economia criminale e finanziamento al terrorismo, consulente di governi e istituzioni internazionali, e le abbiamo posto una serie di domande per capire meglio la situazione mediorientale ma anche un parere sull’Europa e l’Italia. Ne è nato un dialogo a tutto campo sulla realtà politica ed economica che ci circonda.

Nel suo articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano il 24 agosto lei fa un riferimento implicito agli interventi del parlamentare Di Battista (M5S) a proposito del Califfato facendo notare che l’analisi del deputato non è corretta e nemmeno più attuale. Riconoscendo a Di Battista il merito di aver aperto uno squarcio sulla semplificazione della informazione main stream che riduce tutta la questione Isis a un semplice conflitto religioso con la replica dello scontro di ‘civiltà’ già usato per giustificare gli altri interventi militari in Afganistan e Iraq, a chi conviene ridurre tutto il dibattito in questi termini? Qual’è la chiave di lettura corretta per questa ennesima guerra in Medio Oriente?

In Italia la presentazione di questo conflitto religioso conviene un po’ a tutti: ci sono molte similitudini tra l’Italia di oggi e certi paesi del Medio Oriente. La cosa più importante dal punto di vista della classe politica è che presentando la vicenda sotto il profilo religioso questo non ha nulla a che vedere con l’11 settembre e con la guerra contro il terrorismo di Bush e Blair alla quale abbiamo partecipato. Questo aiuta a giustificare la grande coalizione in cui noi siamo dentro. In realtà non ci capisce bene che cosa faranno, non hanno deciso nulla ma è una legittimazione affinché gli Americani possano iniziare a bombardare le postazioni dello Stato Islamico anche in Siria; probabilmente da basi militari in Arabia Saudita senza il beneplacito delle Nazioni Unite. Stiamo facendo la stessa cosa di prima ma presentandola sotto l’aspetto religioso e umanitario la gente è più favorevole. In realtà non è così, dalle informazioni che ho raccolto, dentro lo Stato Islamico il Califfato si adopera molto dal punto di vista sociale e per la popolazione. Alla fine agisce come uno stato migliore di quello che c’era prima. Parliamo della Siria di Assad e del governo corrotto di Maliki per l’Iraq. Noi tutto questo non lo sappiamo i media non ce lo raccontano.

Quindi non sappiamo cosa realmente accade? I sociale network sono quotidianamente invasi da fucilazioni sommarie, teste mozzate e quant’altro che offrono una chiave di lettura unidirezionale. Le fonti non paiono verificate e si scatenano forme di razzismo generalizzate contro i Musulmani.

 I Social media sono pericolosissimi perché alla fine non c’è nessuna verifica. Non è vero che You Tube ti dice la verità. Nel mio libro (di prossima pubblicazione n.d.r.) c’è tutta una sezione dedicata a come lo Stato Islamico è riuscito a manipolare la comunicazione e l’informazione attraverso i social media proiettando l’immagine di se stesso – già prima quando si trovava in Siria – molto più forte di quello che in realtà è. Non c’è una verifica sul campo e, in questo caso, nessuno riesce ad averla. Quei giornalisti che erano in Siria nella zona nord dove ci sono stati gli scontri tra i ribelli e le truppe di Assad e dove lo Stato Islamico è riuscito ha crearsi alcune enclave, sono stati tutti rapiti (in 17). Ho avuto modo di intervistare Francesca Borri [2] che era lì facendosi passare per una profuga siriana e mi raccontava che tutto il materiale raccolto dai giornalisti, e anche dall’Intelligence, e questa è la cosa più sconvolgente, veniva dai social media. Questo è preoccupante.
Da quello che Lei dice stiamo diffondendo informazioni che non sono dirette ma di seconda, terza mano
Esatto. Stiamo rigirando informazioni di terza mano che sono create appositamente dai vari gruppi. I ribelli dicevano di avere il controllo di Aleppo. Quando la giornalista Francesca Borri è entrata nella città ha visto che i ribelli non c’erano più e invece c’era l’esercito di Assad. E pare non lo sapesse nemmeno l’intelligence israeliana: quando ha fatto il briefing prima di entrare nella città, l’intelligence (americana, israeliana, etc etc) le hanno spiegato cosa doveva fare e come muoversi. Ma le informazioni fornite era completamente diverse dalla realtà.
Siamo nella condizione ‘assurda’ dove questi gruppi islamici utilizzano i social media e l’informazione a loro uso e consumo?
Assolutamente. Anche i ribelli fanno la stessa cosa. Anche l’esercito di Assad. Ognuno manipola come gli pare per cui sui social media trovi tre versioni diverse dei fatti nessuna dei quali alla fine è vera. Il fatto grave è che alla fine oggi c’è molta meno informazione ‘vera’ di quello che c’era venti o trent’anni fa anche durante la guerra fredda: c’erano pochi corrispondenti ed erano tutti dentro in situazioni difficili. Quello che i giornalisti hanno fatto ‘embedded’ nella guerra del Vietnam con i reportage è stata una cosa incredibile: ci hanno raccontato la verità. Ora questo non può succedere perché ci sono i social media che sono la ‘fine’ dell’informazione perché ognuno si può creare la realtà che vuole. Purtroppo anche l’intelligence cade nella trappola dando ai social media un credito eccessivo.
Oltre a questo aspetto ‘localistico’ del fenomeno, c’è una responsabilità dell’occidente come con-causa dell’allargamento dei fenomeni di violenza, di guerra e di adesione alla causa dei terroristi? Considerando, per esempio, che l’Isis pare essere finanziata dal Qatar che contemporaneamente intrattiene rapporti stretti con l’America?

Certamente. Quello che sta succedendo in Siria e in Iraq è una guerra per ‘procura’ con tantissimi ‘sponsor’. Ciascuno prende un gruppetto, lo finanzia, gli manda le armi, lo addestra e tutto questo avviene sotto il naso della comunità internazionale. Gli americani certo sapevano dei finanziamenti ma non gli interessava e hanno considerato il problema come locale. La Siria, per esempio,non è un paese per il quale ci siano interessi commerciali e un discorso analogo vale per l’Iraq perché a questo punto l’America non dipende dal petrolio del medio oriente essendo diventata un produttore. Anche loro hanno avuto ruoli nella guerra per procura, i soldi ai ribelli sono stati forniti anche dagli Stati Uniti. 

Vuol dire che queste guerre non sono più finalizzate al petrolio?

No, è una questione geopolitica. Abbiamo la Russia che ha basi militari nel mediterraneo e in Siria, l’Iran che usa quelle basi militari per mandare aiuti e armi alla Ezbollah; è una posizione strategica per queste nazioni che altrimenti non avrebbero uno sbocco sul mediterraneo. Invece da parte dei Sauditi, Kuwait, Qatar il discorso è più a carattere etnico: c’è un odio reciproco tra costoro, gli Iraniani sono Sciiti e gli altri sono Sunniti. Non è un odio a carattere religioso, non gli importa della religione; è un odio a carattere di egemonia nella regione. E’ chiaro che l’Arabia Saudita con il crollo del regime dello Scià è diventata il numero uno nella regione anche nei rapporti con gli Stati Uniti. Prima era l’Iran all’interno della zona. Khomeyni ha ‘rotto le uova nel paniere’; non dimentichiamo che l’Iran è una democrazia, o meglio, una teocrazia, però la gente vota. In Siria non è così, è una dittatura assoluta. Sono gli occidentali che dopo la guerra hanno tracciato dei confini in questi territori e hanno preso delle famiglie e le hanno messe a fare i re mentre prima erano tutti dei semplici beduini. 

Quindi abbiamo una responsabilità di ingerenza dell’occidente che si combina con gli odi etnici. Un miscela esplosiva. 

Assolutamente si. Chiunque può formare un gruppo e trovare qualcuno che gli dia dei soldi e c’è di tutto: dal jihadista di Londra al piccolo criminale locale. Tutti hanno le armi. Alla fine un gruppo come lo Stato Islamico che ha in chiaro quanto sia importante occuparsi della popolazione civile diventa immediatamente il leader. 

Questo fatto che Lei ci espone è molto interessante: capovolge tutta l’immagine che in occidente ci viene proposta dai media. Ci viene raccontato solamente che l’Isis commette stragi tra la popolazione, tra i Cristiani e che sono assolutamente da fermare. 

Certamente loro perseguono una ‘purificazione’ della zona. Quindi se tu sei cristiano non è che ti tagliano la testa; prima paghi una tassa, perché c’è una tassa per chi ha una religione diversa, dopodiché o te ne vai o ti converti. Quindi non fanno ‘stragi’ a caso, le fanno sulla base di una risposta che ricevono, ma non è che partono di notte a caso a tagliare la testa alla gente mentre dorme. Loro applicano la legge della Sharia. Se rubi ti tagliano la mano. E’ la cultura di una società premoderna. Queste società sono tornate indietro nel tempo. Quando si distrugge tutto e non resta più niente le società regrediscono allo stato di natura. Per riportarla alla condizione di società moderna queste situazioni diventano passaggi ‘naturali’. Ti possono ammazzare per una bicicletta ma se tu ammazzi qualcuno ti crocifiggono o ti tagliano la testa. Tra l’altro in Arabia Saudita fanno la stessa cosa. Quindi l’Arabia Saudita può tagliare la testa ai condannati a morte mentre lo stato Islamico no. Questo perché lo Stato Islamico non è riconosciuto dalla comunità internazionale ma noi (occidentali) dovremmo essere contro il taglio delle teste ovunque venga praticato. 

Quindi ci troviamo di fronte al tentativo, arcaico, di ricostruire una società che è tornata indietro nel tempo a livello del diritto naturale. C’è quindi da chiedersi chi siano oggi davvero i ‘terroristi’, alla luce anche delle notizie secondo le quali la Siria di Assad e pezzi dei gruppi terroristici che a suo tempo uccisero il nostro giornalista Badaloni parteciperebbero alla guerra contro Isis. Praticamente l’occidente ha creato la figura del ‘terrorista a tempo determinato’: ieri eri un nemico giurato, oggi un alleato, domani valuteremo.

Certamente. Cambia tutto in continuazione. Si veda il caso del PKK, ieri terroristi oggi combattono dalla stessa parte degli Americani. 

A questo punto non sarebbe meglio, o meno dannoso, riconoscere questo stato (il Califfato) e arrivare in qualche modo ad una trattativa? 

Non credo succederà. Perché questo è uno stato che minaccia l’Arabia Saudita e gli altri stati del golfo. L’unico motivo per il quale noi stiamo andando in guerra, perché questa è una guerra (oggi un generale americano ha detto che stanno valutando la possibilità di mandare truppe in Iraq, si apprestano a un nuovo Vietnam con truppe che rientrano e che vengono rimandate al fronte sotto un’altra denominazione) è che stiamo andando per difendere l’avanzata dello Stato Islamico; non tanto in Iraq, per esempio all’Isis il sud non interessa, il fatto è che se il Califfato si consolida diventa più importante dell’Arabia Saudita. Quindi minacciano le altre istituzioni e la legittimità degli altri stati. Che succede se i Sunniti Sauditi, o da qualche altra parte tipo Qatar, decidono di ribellarsi? 

L’Onu in questo contesto… esiste ancora? 

L’Onu non serve più a niente. Nel Consiglio ci sono i Russi e i Cinesi e le decisioni devono essere assunte all’unanimità che non ci sarà mai su queste questioni.

Cambiamo argomento. L’Europa: ossessione dell’austerity e dei parametri. Le nuove regole dell’Esa 2010 tenteranno di abbellire la situazione. A Livello economico abbiamo sempre il PIL come misura del ‘benessere’ e, da tempo, si parla di alternative per misurare la condizione reale di una popolazione. E’ possibile cambiare questi paradigmi di valutazione dal Suo punto di vista?

Certo avrebbe senso. Però non esiste un numero. Il grande vantaggio del Pil è che è un numero. Ed è comparabile. Confrontando i numeri del Pil tra due paesi puoi avere una misura velocissima della differenza tra i paesi. Il Pil non è necessariamente un’istantanea vera di quello che succede anche se, come nel caso dell’Italia, il fatto che un Pil sia negativo ti assicura sull’idea che il paese non gode di buona salute. Se invece di usare questo numero, che è certamente riduttivo (puoi avere una paese come l’Arabia Saudita dove c’è un grandissima discriminazione per cui hai la famiglia reale che è ricchissima e poi ci sono i poveri) si usano altri per sostituirlo, ci vorrebbero una serie di numeri; sicuramente il Pil non fotografa la reale situazione. Qui in America puoi avere un buon Pil ma non hai l’assistenza sanitaria. Se ti ammali e non hai la copertura assicurativa sono problemi. Problemi ci sarebbero anche nel comparare i paesi in via di sviluppo con i paesi sviluppati. Se non usi il Pil ma una serie di altri indicatori diventa più difficile fare delle comparazioni. 

Quali sono le difficoltà del mondo economico nel considerare la felicità e il benessere individuale come parametri imprescindibili per pianificare strategie economiche?

Questi sono dei parametri ‘occidentali’. La felicità e il benessere sono termini che appartengo al momento storico del passato, della fine della II guerra mondiale. Anche se gli Americani la felicità l’hanno messa nella Costituzione, se si guarda il mondo c’è più povertà e sofferenza che benessere. Questo è un pensiero dell’occidente ma questo è una piccola parte del mondo e, tra l’altro, sempre meno importante. Non ce ne rendiamo conto ma abbiamo una visione del mondo che è ancorata ai film del neorealismo italiano. Quel momento storico è passato. Ora siamo in una situazione di crisi post capitalistica, di un sistema che non funziona più. Si parla di recessione e stagnazione ma il Giappone sono quasi trent’anni che è in questa situazione nella quale siamo noi ora. Allora vuol dire che il sistema non funziona. Noi (Italia) siamo in questa condizione dal 2007.

Una situazione post capitalistica che si affida a presupposti economici che si rivelano inefficaci o fallaci come nel caso europeo. Chi o cosa può condurci fuori da questa situazione?

Non vedo nessuno. Sono molto pessimista in questo. Stiamo vivendo in un sistema che non funziona più e come tutti i sistemi che non funzionano devono auto distruggersi. Non c’è una soluzione o un nuovo modello. C’è il modello cinese che è sempre un modello capitalista e funziona lì da loro perché è un paese in via di sviluppo. La Cina è dove eravamo noi negli anni ’60. Il Giappone invece si trova dove ci troveremo noi nel 2030. L’esempio della Siria è illuminante. Era un paese che funzionava. Il periodo d’oro post bellico non può tornare. A meno di nuove guerre.

Rischiamo di avere un sistema che implode o che si autodistrugge attraverso delle guerre?

Abbiamo avuto molte guerre: Jugoslavia, Bosnia, Kosovo e sono state commesse le stesse atrocità che accadono ora. L’Iraq è in caduta libera, la Siria completamente distrutta. L’Ucraina stessa cosa. Tutta quanta la Cecenia non esiste più. Idem Afganistan. E da tutte queste macerie non è emerso nulla. Non è come dopo la II guerra mondiale: gli Americano hanno vinto, Hitler è stato eliminato e si è ricominciato. Niente di tutto questo. Non c’è il bene e il male ci sono solo devastazione e macerie e tutto rimane lì.

E dopo le macerie a nessuno più importa del dopo.

Si. Dopo, la risposta sono gli Islamici. E impongono la loro legge. Le donne sono cittadine di seconda classe, il velo, etc etc e impongono la Sharia. E’ una vera e propria regressione premoderna.

Il gruppo Bildelberg e la Trilaterale sono gruppi cui viene attribuita l’influenza sulle sorti del mondo. Cosa ne pensa lei di queste organizzazioni? Hanno davvero un ruolo nell’economia mondiale? Sono più un mito o una realtà occulta?

Secondo me è più mito. Forse erano più forti prima, in un altro contesto ma non adesso, Dal punto di vista finanziario sicuramente, fanno i soldi a palate, hanno i loro agganci. Ci sono situazioni analoghe però. Vedi l’Italia, la potresti considerare come un piccolo Bildelberg: in fondo governano sempre gli stessi e i risultati sono assolutamente pessimi. Non sono riusciti a risolvere il problema del debito pubblico; alla fine pensano solo ai loro interessi personali. Il Bildelberg in realtà funziona come trampolino di lancio per fare ancora più soldi. Non importa come: se fanno i soldi sulle macerie di qualche paese a loro non importa nulla. Sono organizzazioni che non hanno come scopo la solidità del mondo.

La prospettiva italiana vista dall’America: siamo al terzo governo senza elezioni e con indicatori economici sempre più negativi.

Secondo me Renzi sarà una delusione. Non ha fatto nulla. Renzi fa spettacolo e non ha fatto nulla di concreto. Non si è nemmeno capito questi 80 euro se continua a darli o meno e da dove prende i soldi. L’Italia appare sempre di più come un paese medio orientale gestito da oligarchie. Mi ricorda molto la Siria. Laggiù la violenza è esternalizzata con le armi, qui con il linguaggio. Rischi di passare da una vita vivibile alla povertà assoluta ma piano piano, senza accorgetene.

Il suo prossimo libro?

Tratta dello Stato Islamico. L’ho terminato in questi giorni. Uscirà in formato e-book a ottobre e in formato cartaceo in dicembre ma qui in America. Purtroppo non Italia, al momento, mi hanno detto che è un argomento che non interessa…

D.A.

Loretta-Napoleoni

Loretta Napoleoni

[1] Loretta Napoleoni – Economista, Saggista, vive da trent’anni tra Londra e gli Stati Uniti. Nel 2010 l’Associazione per il Progresso Economico le ha conferito il Premio per divulgazione. Molti i saggi da lei pubblicati in Italia, tra questi: Terrorismo S.p.A. (2005), Economia Canaglia (2008), I Numeri del terrore (2008), Maonomics (2010), il Contagio (2011) e Democrazia Vendesi (2013). I suoi libri sono tradotti in 18 lingue (tra cui cinese e arabo) e diffusi in tutto il mondo. Per una biografia dettagliata lorettanapoleoni.net

[2] Francesca Borri – Giornalista Freelance ha scritto un libro dal titolo “La guerra dentro” uscito nel 2014 per i tipi di Bompiani. Ha raccontato la guerra in Siria vista dall’interno del paese dopo aver vissuto in prima linea spacciandosi per una profuga. L’11 ottobre prossimo, per un articolo pubblicato su ‘Le monde’ e poi inserito nel suo libro, sarà a Bayeux-Calvados (Francia) per il prestigioso premio omonimo riservato ai corrispondenti di guerra, prima italiana della carta stampata a entrare nella rosa dei finalisti.

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