TTIP, RE-COMMON LANCIA LA PUBBLICAZIONE SUGLI INVESTIMENTI INTERNAZIONALI

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da www.recommon.org

In vista della Giornata di Azione Globale contro TTIP, TiSA e CETA di sabato 18 aprile (su twitter #18ADoA), per cui sono previsti oltre 600 eventi e mobilitazioni in tutto il mondo, Re:Common lancia la  pubblicazione “Accordi Internazionali sugli Investimenti al Vaglio – Trattati bilaterali in materia di investimenti, politica dell’UE sugli investimenti e sviluppo internazionale”.

Il rapporto è stato scritto da Thomas Fritz di PowerShift, Germania. PowerShift è uno dei partner del progetto BITs in Pieces.

Negli ultimi due anni l’agenda del commercio internazionale è sorprendentemente tornata al centro dell’agenda politica in seguito alla decisione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea di avviare il negoziato per la creazione di un’unica area transatlantica di libero scambio, il trattato proposto con l’acronimo TTIP. Uno dei capitoli più caldi del negoziato è quello della liberalizzazione degli investimenti esteri.

In particolare l’introduzione di meccanismi di protezione dei diritti degli investitori stranieri contro gli atti degli Stati, come l’espropriazione o il cambiamento delle legislazioni vigenti. Il cuore dell’architettura negoziale è costituito dai meccanismi di arbitrato privato internazionale, a cui le multinazionali possono ricorrere se ritengono che gli Stati abbiano agito – o intendano agire – riducendo i profitti attesi sugli investimenti. Tribunali speciali per la risoluzione delle dispute in materia di investimenti, in inglese Investor-to-State Dispute Settlement, con l’acronimo ISDS, a cui può avere accesso solo il grande business. Non invece gli Stati stessi o terze parti, per esempio singoli cittadini o altri attori, qualora siano dell’idea che i loro diritti siano stati violati dalle multinazionali, o se abbiano subito dei danni.

Questa procedura di risoluzione delle dispute è già in vigore in migliaia di accordi bilaterali in materia di investimenti sottoscritti principalmente tra i paesi ad economia avanzata e quelli cosiddetti in via di sviluppo. Collegi arbitrali fino a pochi anni fa avocati dagli investitori dei paesi ricchi quando operavano in contesti “a rischio”, perché gestiti da governi inaffidabili e non in grado di garantire lo Stato di diritto. Un argomento oggi utilizzato anche dal governo italiano che, per attrarre investitori esteri, si dice disposto ad offrire ulteriori protezioni a fronte di un sistema giudiziario “lento e non affidabile”. Così, con la scusa che le corti nazionali non sono perfette, queste sono state spesso rimpiazzate con un impianto alternativo discutibile e che presenta meno salvaguardie per lo Stato di diritto. Tanto per citare alcuni difetti, manca palesemente di indipendenza, i giudici sono pagati dalle società private che ricorrono, il conflitto di interessi è macroscopico e una casta di qualche centinaia di avvocati “globali” guadagna milioni di dollari con cause che essi stessi esortano a muovere contro gli Stati.

I meccanismi di risoluzione delle dispute tra investitori e Stati sono di fatto una perversa privatizzazione del diritto tramite la legge. Tali corti arbitrali producono un trasferimento di competenza da un sistema giudiziario e legislativo nazionale ad arbitri privati non eletti o nominati in maniera trasparente.

Le implicazioni sono enormi poiché il diritto a legiferare e regolamentare degli Stati sovrani viene minato alla base. Gli Stati infatti potranno rendere più stringenti le proprie legislazioni solo se pagheranno gli indennizzi agli investitori. Ossia il ruolo principale degli Stati sarà quello di garantire per legge i profitti privati di pochi. Il nuovo sistema giudiziario rende ancor più irrilevanti i sistemi nazionali. Secondo il diritto internazionale, le vittime della tortura in paesi dittatoriali devono prima rivolgersi alle corti nazionali. Solo dopo aver fatto ciò, se insoddisfatti, possono adire a una corte internazionale. Alla fine il sistema arbitrale internazionale di risoluzione delle dispute crea così di fatto un sussidio pubblico per pochi attori privati transnazionali, riducendo i loro rischi di fronte alle leggi e ai sistemi democratici nazionali.

Insomma, siamo al “qualcuno è più uguale degli altri” di orwelliana memoria. L’introduzione del sistema ISDS nell’accordo TTIP renderebbe tale procedura applicabile da un 15-20% degli investimenti esteri mondiali fino a un massimo di 70-80%. L’opposizione “senza se e senza ma” all’ISDS, e quindi al TTIP e agli altri accordi bilaterali in materia di investimenti, è una questione di democrazia e giustizia. Ognuno deve alzare la sua voce, prima che sia troppo tardi.

Per saperne di più sul TTIP: www.stop-ttip-italia.net

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