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TTIP l’accordo pericolo: Tiziana Beghin del M5S

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Oltre alle riforme imposte dal governo Renzi gravitano sulla nostra testa accordi celati da sigle misteriose di cui poco si parla e si conosce ma che potrebbero avere impatti drammatici sulle nostre vite. Ne abbiamo parlato con l’On. Tiziana Beghin deputata per il Movimento Cinque Stelle al Parlamento Europeo.

Iniziamo dalle elezioni Europee: ci sono state molte critiche per la scelta del movimento di associarsi all’UKIP di Farange, com’è la situazione dei rapporti con loro e come funziona il gruppo?

Il vantaggio di lavorare con un gruppo come quello di Farange è di non essere obbligati ad avere posizioni comuni, non ci sono imposizioni come abbiamo visto accadere in altri gruppi. Su certe tematiche gli altri sono dipendenti da volontà imposte a priori e sulle quali non si può assolutamente discutere. Noi abbiamo invece la possibilità di essere liberi. Con Farange non abbiamo particolari punti in comune; sulla politica economica non siamo sempre in linea ma lo siamo su alcuni concetti di base, come per esempio il cambio dell’attuale sistema e la volontà di indipendenza da regole non scritte che si vogliono imporre nell’interesse di altri.
Per esempio quando abbiamo posto le nostre valutazioni sui commissari designati per la commissione europea c’è stato un vero e proprio teatrino: ciascun gruppo sosteneva un commissario piuttosto che un altro e si sono viste ripetere le dinamiche cui assistiamo anche in Italia. Voto compatto dei Socialisti e dei Popolari sui candidati con l’opposizione nostra e dei Verdi. Però quando sono mancati i voti dei Socialisti per un candidato siamo rimasti stupiti nel vedere che i verdi lo hanno sostenuto mentre avevano votato contro sino a quel momento. Sono obbligati a giocare entro schemi predefinti. Allora vale forse la pena essere in un gruppo dove puoi far valere la tua voce in modo sincero e schietto. Non fa parte del nostro modo di essere il sostenere qualcuno e poi trovare delle giustificazioni con l’elettorato. La scelta quindi del gruppo UKIP si è quindi rivelta positiva.

Com’è il vostro rapporto all’interno del PE dove come tu dici si riproducono le stesse dinamiche nazionali cui assistiamo qui in Italia?

La valutazione complessiva, pur non avendo potuto conoscere tutti gli oltre 700 parlamentari, è comunque di una maggiore serietà. Una maggiore adesione a quelli che sono i valori di un rappresentante istituzionale che lavora e che si impegna. La storia che sono tutti iper assenteisti e che non ci sono mai è vera a metà. Le statistiche ufficiali che vengono presentate sono poco affidabili per capire chi e come lavora. Uno può essere sempre presente durante le votazioni a Strasburgo (due volte al mese) ma non partecipare mai al lavoro delle commissioni che è ben più impegnativo. Oppure una persona può partecipare ai lavori delle commissione poi magari causa malattia essere assente alle votazioni ed ecco che le statistiche fanno sembrare che non abbia fatto nulla. Essendo noi 5 Stelle sempre presenti posso assicurare che ci sono tante altre persone nel Parlamento Europeo che lavorano seriamente. I Rapporti sono abbastanza buoni in generale, forse i tedeschi hanno qualche diffidenza verso di noi anche perché non lesiniamo critiche nei loro confronti. Ci sono stati anche episodi molto positivi: il Segretariato degli Affari Esteri ha inviato i complimenti scritti ai miei colleghi per il lavoro fatto durante la crisi della Ucraina con il conseguente embargo. Il duro e serio lavoro dei colleghi è stato apprezzato.

Nelle ultime settimane J. Stiglitz ha tenuto una lezione di economia presso il nostro Parlamento. Occasione per ribadire cosa non funziona con l’euro e con l’Europa sulla linea di quanto sostenuto dagli economisti qui ritenuti “dissidenti”. Sulla base della vostra esperienza quanta consapevolezza c’è in Europa sul livello di malcontento che vien espresso in ogni occasione elettorale?

Sono tutti molto preoccupati dalla crescita dei movimenti euro scettici, fenomeno che non si aspettavano. All’interno del Parlamento l’euro scetticismo non ha un peso determinante nel senso che le più grosse forze PPE e S&D continuano imperterrite, avendo i numeri, a fare quello che vogliono. Ma c’è una seria preoccupazione; se non cambiano le cose in questa legislatura europea nei prossimi cinque anni, all’interno degli stati membri prenderanno decisamente peso delle forze di rottura verso l’attuale sistema. In Francia e in Inghilterra, purtroppo non in Italia, abbiamo visto le reazioni anti europee. Al momento attuale lo strapotere di chi è ai vertici dei dicktat monetari continua a giocare sulla speculazione e sui movimenti monetari che nulla hanno a che vedere con l’economia reale. Credo siano consapevoli di essere arrivati in un punto in cui devono necessariamente trovare delle soluzioni. Noi abbiamo sentito i commissari continuare però a proclamare slogan astratti senza soluzioni concrete. Nel caso dell’Italia le riforme non possono essere solo di tipo istituzionale perché questo non ha una relazione diretta con l’economia. Sul Job Act sono molto critica, come imprenditrice; certo che il mercato del lavoro va regolamentato ma la priorità in questo momento è creare il lavoro. Se ci concentriamo soltanto sulla regolamentazione di ciò che già esiste ma non crea nuovi posti di lavoro è come se ci mettessimo a spolverare i libri di una libreria mentre sta arrivando un terremoto che ci farà crollare tutto addosso.

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On. Tiziana Beghin (M5S)

Veniamo al tema dell’accordo TTIP che molti denunciano come un cappio al collo degli stati nazionali imposto dalle multi nazionali. Il pericolo di questi accordi è stato sottolineato dallo stesso Stiglitz.

E’ un accordo di libero scambio che viene presentato come la soluzione di tutti i mali, come se aprire tutte le porte del libero scambio fosse sufficiente per uscire dalla situazione attuale. Un accordo simile è già pronto con il Canada (CETA) e dovremmo votarlo a breve. Il TTIP lo ricalca dal punto di vista metodologico e ideologico anche se cambia il peso delle due economie, ma le regole sono le stesse. Abolizione di tutte le barriere doganali e non doganali ma, ed é l’appunto che noi facciamo da tempo, nessuno conosce i dettagli negoziali dell’accordo che procedono da un anno e mezzo (delegazione Italiana guidata da Ignazio Bersero). La giustificazione è che il segreto fa parte delle strategie di contrattazione. In realtà loro necessariamente dovrebbero informarci, perché una volta che il trattato è concluso è veramente troppo tardi per influenzarlo. Per noi non è accettabile che ai cittadini venga fornito l’accordo finale senza che abbiano potuto esprimere una valutazione su cosa succederà con quegli accordi. Le pressioni non sono sole le nostre e hanno avuto efficacia in quanto hanno inziato a darci alcuni dei documenti riservati e ci consentiranno di accedere a delle stanze di lettura dove sarà possibile leggere (non riprodurre) i documenti negoziali. Faremo dei gruppi di monitoraggio e avremo occasione di sapere qualcosa in più. Certo è probabile ci facciano sapere quello che vogliono loro, temo, ma sicuramente potremo farci un’idea concreta su cosa ci aspetta.

Il problema principale riguarda le barriere non tariffarie ovvero le regolamentazioni. I dazi sono bassi già adesso, è risaputo. Il beneficio per le nostre aziende sarà ridicolo. Le Pmi italiane che sopravvivono oggi nel 90% dei casi sono già proiettate verso i mercati internazionali perché diversamente non esisterebbero. Quelle che sono prevalentemente rivolte al mercato interno non avranno alcun beneficio dall’abbattimento delle tariffe. Anzi moriranno perché saranno inglobate da quelle americane che verranno a casa nostra. Il peso è molto sbilanciato: da una parte Pmi con 15, 50, 70 dipendenti quando dall’altra parte le “piccole” imprese americane ne hanno 500! Le nostre aziende sono già presenti sui mercati statunitensi, per esempio i viticoltori, i grandi produttori di salumi e di altre eccellenze italiane, in generale il food e la moda; certamente potranno avere qualche vantaggio da alcune semplificazioni burocratiche ma in realtà essendo l’Italia quella con le barriere più alte sarà il nostro mercato ad essere invaso.

In effetti la storia industriale ci insegna come il grande che ‘assorbe’ il piccolo non lo fa per mantenerlo in vita ma per impossessarsi del mercato di riferimento e del marchio e i lavoratori finiscono a casa.

Esattamente. Non è questione di protezionismo nazionalistico come ci accusano alcuni ‘liberal’; qui è questione di protezionismo degli interessi pubblici rispetto a interessi privati. Noi dobbiamo tutelare chi lavora in casa nostra rispetto agli interessi delle multinazionali.
Un altro grosso problema sono le privatizzazioni. L’interesse di queste multinazionali è quello di arrivare a gamba tesa sulla nostra sanità, sulla nostra acqua e su tutto ciò che per noi rappresenta comunque storicamente una grossa conquista sociale ed è un servizio pubblico.

Altro problema di questo trattato è la clausola ISDS sulla composizione delle controversie. Le Corporation si vogliono tutelare e insistono nell’inserire questa clausola che consente, nel momento in cui sarà stato approvato questo trattato di libero scambio, la prevaricazione del privato sul pubblico. Una azienda americana che vendesse i suoi prodotti da noi, o vincesse un appalto pubblico, di fronte a un Ente locale o allo Stato che approvasse una normativa per impedire loro di svolgere l’attività commerciale, è autorizzata a fare causa allo Stato per mancati profitti. Lo Stato non è più a quel punto libero di determinare che una qualsivoglia materia è esclusivamente pubblica. In questo caso il tribunale di riferimento è un arbitrato internazionale composto da tre membri scelti dagli stessi studi legali che assitono le multinazionali. Conoscendo come funziona il sistema giuridico americano noi ci troveremmo veramente nei guai. Quindi saremmo costretti o a indennizzi miliardari alle multinazionali – qualora volessimo tornare a tutelare alcune competenze che noi consideriamo pubbliche, – o alla totale cessione di sovranità ai privati per evitare di pagare milioni di multe.

Come imprenditrice, laureata in economia e parlamentare, che impressione ti fanno le nuove regole Esa 2010 per l’elaborazione dei dati del Pil con inserimento della droga e della prostituzione nel computo?

Dare un parere su questa cosa è un po’ assurdo. Da un lato queste cose esistono e vale la pena misurarle, dall’altra questa impostazione tende a legittimarle. Personalmente farei fatica a pensare a inserire nel Pil un’attività criminale. Un’attività deleteria per il cittadino preferirei considerarla come tale.

Siamo dentro il semestre europeo presieduto dall’Italia. Siamo vincolati da accordi capestro come Fiscal Compact e Mes, come la vedi l’Italia da Bruxelles?

Il semestre europeo è una questione in realtà molto di facciata. Non vedo in questi mesi con il presidente Renzi alcun cambio di direzione. L’impressione è che sia una carica molto simbolica.
Per il discorso trattati noi come Parlamento Europeo non abbiamo la possibilità di modificarli perché è competenza esclusiva degli stati che li hanno contratti ma sono e rimangono il nostro primo punto del programma come M5S perché dobbiamo uscire fuori da questo problema grave del debito pubblico. Questo non aumenta per un debito prodotto dal saldo governativo (saldo primario), e possiamo fare tutte le spending review di questo mondo ma gli interessi continuano a crescere. Un’azienda che è in difficoltà non può fare altro che fare un concordato (sul debito che ha contratto), non ha alternative, a meno di produrre improvvisamente con una marginalità così alta da poter assorbire ciò che è stato fatto in passato. Ma questo è praticamente impossibile. Sono le cause che hanno prodotto il debito che vanno rimosse, i piccoli correttivi non servono a nulla. La vera questione è politica, bisognerà vedere se in Italia ci sarà qualcuno in grado di assumersi la responsabilità di scelte che vadano in direzione diversa da quelle imposta dall’Europa.

Come sai in Val Susa è sempre aperta la questione Tav che ultimamente si ammanta di dichiarazioni sempre più contraddittorie tra proclami governativi (siamo nei tempi!) e documenti ufficiali che smentiscono tali dichiarazioni. Può il M5S fare qualcosa in Europa?

L’italia non è nei tempi. Abbiamo fatto un incontro con GUE e Verdi, io non sono in commissione trasporti, c’è una mia collega, ma mi ha concesso di occuparmi del Tav in quanto abitante in Piemonte e direttamente interessata alla vicenda. Abbiamo fatto un incontro con il comitato No Tav francese e il prossimo 14 ottobre avremo una tavola rotonda qui in Parlamento Europeo organizzato con Gue, Verdi, insieme a Presidio Europa No Tav e il presidente della commissione turismo. Questo evento si chiamerà “Il progetto del Tunnel Lione-Torino fermiamo un disastro”. Sono invitati diversi esponenti tra cui Paolo Prieri, Luca Giunti, Silvio Montesini, Alberto Poggio (per l’Italia). Poi esperti ambientali francesi. Discuteremo la strategia di pressione francese e italiana nei confronti di questa opera.

D.A. 13.10.14

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