di Davide Amerio.
“Dovremmo brevettare le parole” diceva Beppe Grillo un po’ di anni fa. Una profezia quanto mai vera; a distanza di anni la distorsione dei significati semantici delle parole ha assunto un ruolo chiave nel linguaggio della politica. Prendiamo, per esempio, la parola “Riforma”. Dice lo Zingarelli:
Modificazione volta a dare un ordine nuovo e migliore, a trasformare una situazione, una società e simili
Modificare ci dice che “qualcosa cambia” rispetto a un situazione precedente alla riforma – che può essere ancora in corso mentre ne parliamo. “Nuovo” ci lascia intendere che si verifica qualcosa di “diverso” rispetto a prima e che realizza qualcosa che prima non c’era. “Migliore” indica un’evoluzione in una direzione ben precisa: il cambiamento deve realizzare una situazione più vantaggiosa o più favorevole. Quest’ultimo concetto è certamente il più opinabile. Il parere su ciò che è meglio può non essere lo stesso per tutte le persone coinvolte; alcune possono ritenere che la riforma sia “peggiorativa” o “ininfluente” in una certa situazione. La controversia può essere risolta appellandosi al senso comune che le persone attribuiscono a quella determinata condizione di cui è oggetto la riforma. Per esempio, se nella situazione corrente è troppo facile rubare, secondo il comune sentire, una riforma, per essere giudicata tale, dovrà porre in atto una modificazione delle condizioni correnti riducendo la possibilità di rubare, essendo questa attività deprecata dai più e contro la Legge.
Negli ultimi anni siamo subissati dalla parola “riforma” vendutaci in tutte le salse e in tutte le pietanze. Non potendo brevettare le parole, come diceva Grillo, lo scontro è tra chi le usa facendo finta che il significato sia quello comunemente attribuito, mentre la sostanza è ben diversa e chi le usa nel significato che è loro proprio. Tra i vari problemi che il M5S si è trovato ad affrontare entrando nel Parlamento questo è quello che più è costato loro in termini di “credibilità” pubblica. Se qualcuno si appropria dell’attributo di “riformatore” diventa difficile dimostrare il contrario in un contesto in cui l’informazione non è libera, nella quale non c’è un elemento terzo che può fare da arbitro rilevando le infrazioni all’uso improprio del linguaggio. Scomparendo gli attributi classici e riconoscibili della politica, come destra e sinistra (essendo esse sempre più simili se non uguali), laddove la prima è associabile alla “conservazione” e la seconda alla “innovazione” l’appropriazione indebita della figura del “riformista” diventa operazione facile per chiunque.
Da due anni il M5S combatte per dimostrare che il riformismo cui si appellano Matteo Renzi e il suo governo è fasullo. La presentazione dei decreti leggi “omnibus” nei quali il titolo è riferito a un argomento – per di più condivisibile – ma il contenuto influisce su un’altro che nulla ha a che spartire con quello (ne sono un esempio il decreto sull’Imu con dentro una regalia alle banche e quello sul femminicidio al cui interno sono state poste norme sul “Tav) è un classico esempio di riforme improprie.
In questi giorni analogamente accade con il ddl sulla corruzione che fu a suo tempo promosso dal presidente Grasso. Perché questo decreto che era stato accolto con favore anche dai Cinque Stelle per la sua struttura è stato modificato? Guarda caso le modifiche riguardano lo scambio dei voti tra politici e mafiosi (abbassamento delle pene e riduzione della possibilità di scoprire il reato a meno di una confessione); l’autoriciclaggio (pene diminuite e cancellate se il denaro lo hai usato per esigenze personali); falso in bilancio (introduzione di soglie di non punibilità ed esclusione per le società non quotate in borsa, dove figurano anche le Coop, ed esclusione delle intercettazioni).
Sull’inconsistenza e inefficacia di buona parte di queste riforme si è già espressa la Cassazione. Ma per la “politica” è un buon risultato al grido del detto “piuttosto che niente … meglio piuttosto”. Ora il M5S che ha votato favorevolmente alcuni articoli bocciando quelli modificati in modo da rendere difficile il lavoro dei giudici viene tacciato, ancora una volta, di “immobilismo”. In un paese “normale” questa accusa risulterebbe assurda e falsa quale essa è. Nel paese della semantica creativa e del giornalismo servile sul banco degli imputati ci finiscono coloro che non accondiscendono a realizzare mezze o false riforme sopra tutto quando queste sono urgenti per ristabilire la credibilità del paese e la crescita economica. Non dimentichiamo che la corruzione è il cancro che erode l’economia dall’interno.
Stessi meccanismi sono stati attuati per le “riforme costituzionali”. L’altro giorno un baldanzoso Renzi ha dichiarato che l’Italicum verrà preso come esempio da metà Europa. Quale sia questa metà è cosa sconosciuta essendo i paesi di tradizione democratica anglosassone usi a sistemi elettorali certi, limpidi, e non fantasiosi. Francia, Inghilterra, Germania, tanto per citarne alcuni, hanno sistemi elettorali che usano da decenni e non si sono mai sognati di prendere in considerazioni porcherie come il Mattarellum, il Porcellum e tanto meno avranno riguardo alcuno verso l’Italicum, peggiore dei precedenti e anch’esso fuori dalla legittimità della nostra Costituzione.
Già la Costituzione! Quella per difendere la quale i deputati del M5S sono saliti sul tetto di Montecitorio. Ma era solo folclore. Puoi ben aprire il Parlamento come una scatola di tonno ma se il “popolo” non sa più distinguere un pesce marcio da uno fresco…
D.A. 02.04.15