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L’arte del ragionare Daniel H. Cohen

D. H Choen

Nell’era di Internet uno degli scopi di questa tecnologia è la possibilità di condividere opinioni, idee, scambi culturali. Ma se prestiamo attenzione a quanto accade, troppo sovente, nei social network, come Facebook, le discussioni non rappresentano uno scambio bensì una guerriglia. Non di rado la violenza verbale prevarica la discussione; con facilità si scambiano gli insulti. Tutto questo non è discutere. E non rappresenta nemmeno lo scopo del discutere. Una discussione dovrebbe servire a capire qualche cosa non semplicemente a prevaricare su altri, o sminuirne il pensiero, o metterlo in ridicolo. Discutere è un’arte finalizzata all’arricchimento del nostro bagaglio cognitivo.

Riporto qui l’interessante e utile traduzione di una registrazione del filosofo Daniel H. Cohen, presente sul sito Ted. C’è di che riflettere in un paese come il nostro educato negli ultimi 30 anni allo scontro sterile e demagogico. Buona lettura.

Translated by Emanuele Caccia
Reviewed by Anna Cristiana Minoli

Mi chiamo Dan Cohen, e come avete sentito, sono un accademico. Questo significa che io discuto. È una parte importante della mia vita, e discutere mi piace. Inoltre non sono solo un accademico, sono anche un filosofo, perciò mi piace pensare di essere piuttosto bravo a discutere. Tuttavia mi piace anche riflettere sull’atto di discutere.

E durante queste riflessioni mi sono imbattuto in alcuni problemi, uno di questi è il fatto che col mio passare anni a pensare a come discutere, ormai sono decenni, sono diventato più bravo a discutere, ma più discuto e più divento bravo a discutere, più sono le discussioni che perdo. E questo è un mistero.L’altro problema è che a conti fatti, mi sta bene perdere. Perché non mi dispiace più di tanto perdere e perché sono convinto che i buoni oratori siano in realtà più bravi a perdere?

Beh, ci sono altri misteri. Per esempio, perché discutiamo? Chi trae beneficio dalle discussioni? Quando parlo di discussioni, ora mi riferisco a…chiamiamole discussioni accademiche, o discussioni cognitive, in cui c’è in ballo l’apprendimento. Questa proposizione è vera? Questa teoria è valida?Quest’interpretazione dei dati o del testo è fattibile? E così via. Non mi interessano le discussioni su chi è di turno per lavare i piatti o chi deve portare fuori la spazzatura oggi. Oh sì, discutiamo anche su quelle cose. Io di solito le vinco, quelle discussioni, perché conosco i trucchi del mestiere. Ma quelle non sono le discussioni importanti. Quelli che mi interessano sono i dibattiti accademici di oggi, e queste sono alcune delle cose che mi danno da pensare.

Per prima cosa, un buon oratore che cosa ottiene quando vince una discussione? Cosa me ne viene se riesco a convincervi che l’utilitarismo non è esattamente la lente giusta attraverso cui guardare le teorie sull’etica? Cosa otteniamo vincendo una discussione? Ancora prima di questo, perché dovrebbe importarmi se vi siete fatti l’idea che le teorie di Kant funzionano, o che Mill è il miglior filosofo dell’etica da seguire? A me non cambia nulla se pensate che il funzionalismo sia una teoria mentale accettabile o meno. Perciò, perché anche solo tentare di discutere? Perché cerchiamo di convincere altre persone a credere cose che non vogliono credere? Soprattutto, è una cosa giusta da farsi? È il modo corretto di trattare un altro essere umano, tentare di fargli pensare qualcosa che non vuole pensare?

Allora, la mia risposta farà riferimento a tre diversi modelli di discussione. Il primo modello, chiamiamolo modello dialettico, è quello in cui vediamo le argomentazioni come atti di guerra, e sapete cosa vuol dire. Si urla e si strepita parecchio, si vince o si perde e questo non è un modello di discussione molto utile, ma è comunque un modello di discussione piuttosto diffuso e radicato.

C’è, tuttavia, un secondo modello di discussione, in cui le argomentazioni sono prove. Pensate a come discute un matematico. Questa è la mia argomentazione. Funziona? È solida? I presupposti sono giustificati? Le inferenze sono valide? La conclusione è logicamente derivata dai presupposti?Nessuna opposizione, nessun antagosnismo, una discussione che non avviene nel classico senso conflittuale.

Ma c’è un terzo modello da considerare, che penso si rivelerà molto utile, quello delle argomentazioni come esibizioni, argomentazioni poste come se ci si trovasse davanti ad un pubblico. Pensate ad un politico che tenta di illustrarvi una posizione, che tenta di convincere il pubblico di qualcosa. C’è inoltre una variante su questo modello che io trovo sia molto importante, ossia che quando si discute di fronte ad un pubblico talvolta il pubblico ha un ruolo più attivo all’interno della discussione, ciò significa che le discussioni sono anche pubblico di fronte ad una giuria, la quale delibera e dà un giudizio sul caso.Chiamiamo quest’ultimo il “modello retorico”, in cui è necessario adattare le proprie argomentazioni al pubblico presente. Per esempio presentare un’argomentazione solida, ben costruita e inattaccabile in lingua inglese davanti ad un pubblico francofono non servirà assolutamente a nulla. Perciò abbiamo davanti questi modelli: argomentazioni come atti di guerra, argomentazioni come prove, argomentazioni come esibizioni.

Di questi tre modelli, quello delle argomentazioni come atti di guerra è quello dominante. Domina il modo in cui parliamo delle discussioni, domina il modo in cui pensiamo alle discussioni e per questo motivo influenza il modo in cui discutiamo, il nostro effettivo comportamento durante le discussioni.

Quando parliamo di discussioni, è vero, usiamo un linguaggio molto militaristico. Vogliamo argomentazioni forti, che abbiano un forte impatto,argomentazioni che colpiscano con precisione. Vogliamo poterci difendere e avere strategie affinate al meglio. Vogliamo argomentazioni vincenti. È quello il tipo di argomentazioni che ci interessa. È il più diffuso fra i modi di pensare alle discussioni. Quando ho iniziato a parlare di discussioni, voi avete probabilmente pensato a quello, al modello conflittuale. Ma credo che la metafora della guerra, il conflitto come paradigma o modello per l’analisi delle discussioni abbia effetti deformanti sul modo di discutere.

Per prima cosa esalta le tattiche a discapito della sostanza. Potete frequentare lezioni di logica, di argomentazione ed imparare alla perfezione tutti i sotterfugi che si usano per cercare di vincere le discussioni, i passi falsi. Mette in risalto l’aspetto “noi contro di loro” della discussione, la trasforma in un conflitto, ha effetti polarizzanti, e gli unici risultati possibili sono il trionfo, una gloriosa vittoria o la più misera e ignominiosa delle sconfitte. Penso che questi effetti siano deformanti e, cosa ben peggiore, sembra che ostacolino cose come negoziazioni, deliberazioni, compromessi o collaborazioni.Pensate un attimo a questo: avete mai iniziato una discussione pensando “Vediamo un po’ cosa riusciamo a tirare fuori invece di saltarci alla gola. Cosa potremmo ottenere lavorando assieme?” Penso inoltre che la metafora dell’argomentazione come atto di guerra impedisca di risolvere la situazione in altri modi. In ultimo, e questa è davvero la cosa peggiore, discussioni come queste non sembrano portare a niente. Sono vicoli ciechi, sono caroselli, blocchi o punti morti nelle conversazioni. Non ci portano a nulla.

Oh, un’altra cosa, essendo io un educatore questa mi sta particolarmente a cuore: se ogni discussione è una guerra, c’è un’equivalenza implicita fra l’imparare e il perdere. Lasciate che vi spieghi cosa intendo. Supponiamo di discutere io e voi. Voi credete all’affermazione P e io non ci credo. Io dico “Bene, perché credi nella proposizione P?” Voi mi date le vostre ragioni e io ribatto dicendo “Ma allora cosa dici di…?” Voi rispondete alla mia obiezione e io ho una domanda: “Ok, ma che cosa intendi? In che modo si applica a questa cosa?” e voi rispondete alla mia domanda. Ora, immaginate che alla fine della giornata io abbia obiettato, fatto domande, sollevato ogni tipo di contro-analisi, e in ogni caso voi avete risposto in modo soddisfacente. Così alla fine della giornata io dico “Sai una cosa? Penso che tu abbia ragione. P” Così ora io ho una cosa in più in cui credo, e non si tratta di un “credere” qualunque, è una convinzione articolata e soppesata, che ha superato le prove più severe.

Un guadagno cognitivo incalcolabile. Chi ha vinto quella discussione? Certo, la metafora della guerra sembra imporci di dire che voi avete vinto, anche se sono l’unico che ci ha guadagnato a livello cognitivo. Cosa avete guadagnato voi nel convincermi? Certo, ne avete ricavato una certa soddisfazione, probabilmente il vostro ego si è sentito appagato e forse avete ricevuto un certo riconoscimento professionale in questo campo. “Lui sì che sa discutere.”Ma da un punto do vista puramente cognitivo, chi ne è uscito vincitore? La metafora della guerra ci costringe a pensare che voi abbiate vinto e che io abbia perso, nonostante io ci abbia guadagnato. C’è qualcosa che non va in questo quadro. E questo è ciò che voglio davvero cambiare, se è possibile.

Ora, come possiamo fare in modo che le discussioni portino frutti? Ciò che ci serve sono nuove strategie di uscita dalle discussioni. Ma non avremo mai nuove strategie di uscita dalle discussioni finché non pensiamo a nuove approcci di entrata nelle discussioni. Dobbiamo pensare a nuovi tipi di argomentazioni. E per fare questo… beh, io non ho idea di come fare. Questa è la cattiva notizia. La metafora delle argomentazioni come atti di guerra è mostruosa. Si è insediata nella nostra mente, e non esistono rimedi sicuri per liberarsene. Non possiamo farla scomparire con un tocco di bacchetta magica. Io non ho una risposta. Ma ho alcuni suggerimenti, e ve li illustrerò.

Se vogliamo pensare a nuovi tipi di discussioni, ciò che è necessario fare è pensare a nuovi tipi di oratori. Provate così, pensate a tutti i ruoli che le persone possono ricoprire in una discussione. Ci sono il sostenitore e l’oppositore delle argomentazioni dialettiche e conflittuali. C’è il pubblico delle argomentazioni retoriche. C’è il pensatore logico delle argomentazioni come prove. Questi sono tutti ruoli diversi. Ora, riuscite ad immaginare una discussione in cui siete contemporaneamente chi discute, ma anche parte del pubblico e vi osservate discutere? Riuscite ad immaginare di guardarvi discutere, perdere la discussione e comunque, alla fine della discussione, dire, “Però! Questa sì che è stata una bella discussione.” Riuscite a farlo? Io penso di sì. E penso che se riuscite a immaginare il tipo di discussione in cui il perdente parla al vincitore e il pubblico e la giuria dicono “Vero, è stata proprio una bella discussione”, allora siete riusciti ad immaginar e una bella discussione. Non solo, penso che abbiate anche immaginato un buon partecipante, uno che è meritevole del tipo di partecipante che dovreste cercare di essere.

Ora, io perdo un sacco di discussioni. Serve molta pratica per diventare un buon partecipante ad una discussione, inteso come l’essere in grado di trarre beneficio dalle sconfitte, ma fortunatamente io ho avuto modo di incontrare moltissimi colleghi che si sono fatti avanti e si sono offerti di aiutarmi a fare pratica.

Grazie a tutti.

 

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